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REPORT SANITÀ. Cosa accade, cosa accadrà e come fermare la disgregazione del SSN pubblico e universale


Da quando sinistra italiana Genova ha reso pubblico il suo impegno in difesa del SSN pubblico e universale accanto ad Europa Verde e alle associazioni che da anni si battono per la salute pubblica ha, come per chi si impegna su questo tema, potuto constatare la difficoltà a trovare dati chiari, certi e totalmente trasparenti che riguardino il SSN. Anche a livello regionale le cose non vanno meglio. Nella petizione presentata una delle questioni era legata proprio alla trasparenza. Pensavamo che sarebbe stata quella più semplice a cui dare una risposta.  Il fatto è che di trasparenza ce n’è poca. Se manca viene da pensare che i dati siano difficili da reperire, in quanto confusi, poco chiari o perché si preferisce non renderli noti  in quanto in contraddizione coi proclami e gli spot che piacciono tanto.

Certo è che il 29 dicembre scorso è stata licenziata la manovra finanziaria per il 2024 ed il triennio 2024/2025/2026.

Per la sanità è stato confermato il sotto finanziamento già segnalato dalla Corte dei Conti, e da altri organismi privati o associazioni come Gimbe, uno fra i tanti, forse il più noto.

Per l’anno 2024 sono previsti +3 miliardi, per il 2025 +4 e per il 2026 +4,2.

Cifre già erose dall’inflazione che comprendono 2,3 miliardi di spesa annua vincolati per il rinnovo dei contratti di lavoro dei medici e del restante personale sanitario, dipendenti dal SSN pubblico e dal convenzionato, oltre a quello relativo ai medici di medicina generale ed ai pediatri di libera scelta.

Nessuna programmazione per assunzioni e conseguenti pochi finanziamenti.

Parte delle restanti risorse suddette prevedono delle quote per un modello privato-prestazionale tipico dei sistemi assicurativi.

I privati accreditati potranno vendere prestazioni alle ASL per ridurre le liste d’attesa quindi con le spese a carico del Fondo Nazionale Sanitario.

Avremo un aumento degli acquisti di prestazioni da parte delle ASL dai privati accreditati, che vanno oltre le liste d’attesa fuori da ogni valutazione di appropriatezza e della programmazione pubblica.

Per il servizio pubblico è previsto un aumento per effettuare prestazioni straordinarie da parte dei medici e restante personale finalizzato all’abbattimento delle liste d’attesa. Va da se che personale già sottorganico, già discretamente stressato e con cumuli di ore di straordinario non pagato e nemmeno recuperato, spesso sommato anche a rinunce di periodi di ferie, difficilmente potrà dare una risposta in tal senso (e comunque se sarà diversamente, sarà a totale discapito della qualità, quindi della sicurezza dei malati). 

Un insieme di scelte che spingono risorse verso un modello di sanità privata che non ridurrà le liste d’attesa ma le alimenterà.

Nel rapporto della spesa sanitaria col PIL, sappiamo che dovrebbe restare in linea nel 2024 mentre crollerà nei due anni successivi prevedendosi, per il 2026, un rapporto pari al 6,1%. Di gran lunga a livelli molto inferiori rispetto agli altri paesi del G7.

 

Bisogna anche aver presente, perché potrà avere le sue ricadute negative ed inevitabili sul servizio sanitario, l’assenza in manovra del benché minimo aumento per la non autosufficienza, nemmeno a sostegno dei decreti legislativi che devono attuare la legge 33/2023.

Il fondo 2024 resta con 913,6 milioni di euro destinati per tali spese per una platea ridotta a poche migliaia di destinatari di cui il 50% con disabilità gravissime (praticamente un’indennità pari a 527 euro/mese anche senza presa in carico del disabile/anziano lasciando le famiglie allo sbando, ad arrangiarsi). Ci sono già milioni di persone in attesa delle risposte previste nella legge 33/2023 (fu approvata a marzo all’unanimità in parlamento).

Anche per questo filone di bisogni, andrà a finire che l’assistenza e le cure potranno permettersele coloro che se la potranno pagare (a partire dal ricovero nelle cliniche e/o nelle residenze private).

Tornando al Servizio Sanitario Nazionale (pubblico ed universale) non è ancora chiaro se sono stanziate sull’articolo 22 (legge per l’edilizia sanitaria) le compensazioni ai tagli apportati sulle già contenute risorse previste dal PNRR poi tagliate dal governo (tagli a: missione salute; case ed ospedali di comunità; letti di terapia intensiva; interventi antisisimici.).Ma la nostra regione, nonostante queste incognite, ha previsto nel suo PSSR ben 32 case di comunità (5 in ASL1, 6 in ASL 2, 13 in ASL 3, 3 in ASL 4 e 5 in ASL 5); 11 ospedali di comunità (1 in ASL 1, 2 in ASL 2, 4 in ASL 3, 2 in ASL 4 e 2 in ASL 5).

Non è ancora stato chiarito come si realizzerà il generico potenziamento degli infermieri di comunità o di famiglia previsto, le figure dedicate all’assistenza domiciliare fra cui si prevedono (in tutti i distretti) anche un aumento delle cure palliative. Perché di tutti questi auspici attendiamo risposte.

Risposte probabilmente difficili da dare vista la legge di bilancio e visto il Disegno di Legge Calderoli sull’Autonomia Differenziata delle regioni che infliggerà al SSN Pubblico e Universale il colpo di grazia.

Sappiamo che lo Stato, essendo intervenuto l’accordo con le regioni, ha definito l’attribuzione del Fondo Sanitario Nazionale del 2023 secondo un mix di criteri che vanno dalla frequenza dei consumi sanitari e l’età delle persone (per un 98,5%); per il tasso di mortalità delle persone sotto i 75 anni (per lo 0,75%); per particolari situazioni territoriali (per un 0,75%) etc. etc.

Il totale in distribuzione fra le regioni corrisponde a 123,810 miliardi, orientati per la prevenzione il 5%; per l’ospedaliera il 44%; per la distrettuale il 51% a loro volta suddivise per la farmaceutica il 12%, per la specialistica il 13% e per la territoriale.

Quanto sia arrivato alla Liguria fa parte di quei dati difficili da reperire con certezza, chiarezza e trasparenza.

A livello nazionale sulla mobilità interregionale dal consuntivo del 2021 si evince che sono stati spesi 4,25 miliardi con regioni, quali Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, in Campania, Sicilia, Lazio ed Abruzzo. L’Emilia Romagna registra un +442 milioni circa, la Lombardia +271 ed il Veneto +228 milioni, contro i -252 milioni della Calabria, i -221 della Campania, -177 della Sicilia, -140 del Lazio, -135 della Puglia e -108 milioni dell’Abruzzo.

L’86% di detta mobilità riguarda i ricoveri ordinari e i day hospital (69,6%), per la specialistica ambulatoriale (16,4%).

Un euro su due va nelle casse dei privati: ai privati 72 miliardi di euro contro i 43 miliardi al pubblico.

Un quadro che sta peggiorando negli anni a seguire, 2022 e 2023, ed inquadra la regione Liguria in saldo negativo (-69,5 milioni da quella attiva +121 milioni a quella passiva pari a -191).

Per capire meglio riprendiamo anche i saldi negativi dell’Umbria -31 milioni, delle Marche -38,5, la Sardegna -64,7 e la Basilicata -83,5.

E’ evidente come l’eventuale affermazione di un progetto quale quello dell’autonomia differenziata porterebbe ad un drastico peggioramento, a differenze ancora più acute ed incolmabili.

Dall'Aziendalizzazione del servizio sanitario nazionale negli anni ’90 si è perso di vista l’obiettivo primario del SSN, la salute delle persone, e si è passati ad monetizzare la sanità e le cure, sino a passarle nelle mani dei privati con tutte le successive leggi e decreti. 

 Il Privato non pensa alla salute, non pensa alle persone, pensa alla malattia e come trarne profitto.

Se è vero che sprechi e spese inutili dovevano essere contenuti, le riforme avrebbero però dovuto tendere a migliorare il servizio pubblico non a gestirlo come un'azienda volta a lucrare sulla malattia delle persone. Da anni si parla di mancanza di fondi, di mancanza di denaro, ma poco si è fatto, anzi nulla, per dirottare capitoli di spesa a favore del settore sanitario.  Si è preferito investire per la difesa, per gli armamenti, anziché fare una riforma fiscale concreta, funzionale ed equa. Anche l'opposizione ad una tassa patrimoniale indirizzata sugli utili dei grandi capitali,  non è più accettabile. È essenziale tassare gli extraprofitti delle grandi aziende, multinazionali e banche. Misure possibili, ma che per scelta politica precisa non si vogliono assumere, a scapito del ceto medio della popolazione il cui reddito ha sempre minore potere d’acquisto.


Antonello Sotgiu

Lorena Lucattini

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