Carissimo elettore “di sinistra”,
stanco, sfiduciato, disilluso, arrabbiato, astensionista, io ti capisco!
Si, capisco in pieno e comprendo il tuo sconforto.
Ho chiaramente ancora vivo in me quello stato d'animo che spinge a ritrarsi e a non dichiarare più la propria appartenenza, e a farlo proprio rispetto a quella che dovrebbe essere la fase più alta della dimensione democratica, l'apice attivo del concreto potere collettivo-popolare: l'esercizio del diritto di voto.
Quindi, capisco il tuo diniego. Totalmente.
Lo capisco perché l'ho vissuto. Totalmente.
Come te ho vissuto e subito negli anni un progressivo ed inesorabile sradicamento di diritti acquisiti con fatica, di valori fondanti, di obiettivi sociali e di cure dal naturale alveo politico di appartenenza, per far posto all'abuso di strategie politiche ambigue e doppiogiochiste, assoggettate al mero controllo economico – finanziario e alla mera gestione del potere immediato che ne deriva.
La vertigine che prende nello scoprirsi traditi, abbandonati ad un futuro incontrollabile e sconosciuto, denso di incognite e di drammi tanto annunciati quanto ignorati, sociali, economici, ambientali, umanitari...questa vertigine un po' rabbiosa, dicevo, la conosco bene.
E proprio in nome di questa onesta e forse sana esperienza reattiva che ci accomuna, mia cara elettrice astensionista, voglio intrattenermi con te e a te dedicarmi in queste ultime importanti ore di campagna elettorale. Voglio raccontarti qualcosa di me e di come vedo oggi la mia, la nostra città.
Genova è una città bellissima ma “stronza”.
Bellissima perché è fatta di pietra viva, di sale, di vento, di storia, di scorci unici al mondo.
Stronza perché sta chiusa nel suo guscio e si svela solo in rari istanti distratti, e solo a chi decide lei.
“Genova o la odi o la adori” dicono molti foresti...
Genova è una città un po' folle.
Nel suo tessuto multiforme vivo e profondo galleggiano disordinatamente e in eterno conflitto anime diverse, inconciliabili, contrapposte, marziane le une alle altre, che la rendono sfuggente e indomabile.
Questa città così strana e difficile, che affascina e intimorisce chi l'attraversa quasi con inquietudine, sta perdendo lentamente la sua grande anima fatta di mille sfaccettature diverse, la sua essenza vitale. Sta sbiadendo in un circo ridondante di fumo e di stelle finte perché chi vi regna oggi la vuole monocorde e monotematica; la veste di broccati elitari e scintillanti, la offre come pasto in svago e in trastullo, per coglierne le prebende e ingrassarne una parte, figlia del privilegio.
Ma Genova è molto di più, molto di più.
E' la città dei torrenti e delle lunghe valli a grappolo che vivono d'ingorghi, la città dai mille volti e dai mille idiomi al porto, mercantile e ruvida; quella delle fabbriche e della loro ombra di uomini e donne, tutte le fabbriche, quelle ancora in vita, quelle passate e di cui resta la storia; è la città delle alture, dei quartieri distanti da un capo all'altro, del turismo possibile e di quello impossibile perché povero, della Cultura raffinata e internazionale di un Ducale che fa la Storia e che riempie le sale; la città delle spiaggette di Vesima, delle scogliere di Nervi, dei laghetti fra la macchia mediterranea, dell'Alta Via; la Genova dei giovani che se ne vanno, di quelli che restano e non hanno lavoro, della bella gioventù in corso Italia e dei dannati invisibili; la città di Don Gallo e del volontariato, dei vicoli che fanno notte brava, di chi vorrebbe dormire, di madri che corrono su autobus e treni, di bimbi e di bimbe per mano a nonni e nonne, di chi vorrebbe svegliarsi giovane e invece si addormenta vecchio e solo in una città che invecchia male.
Genova è la città dei bricchi e del mare in convivenza caina. È il luogo fiabesco dove, in uno spazio quasi inesistente, devi inventarti case, posteggi, scuole, fabbriche, ospedali, officine, binari, negozi, stazioni, strade, piazze, discariche, servizi e tanto, tanto verde pubblico che manca, che langue, che boccheggia.
Genova è un concetto cittadino difficile da decifrare, ma è quello che è, fatta di mille strati e piani, e tutta intera va abbracciata. Altrimenti, muore.
A volerne estrapolare un piano solo, lustro, classista e preordinato, Genova muore.
Quindi, cara elettrice astensionista, caro elettore astensionista, la nostra città non ha bisogno di qualcuno che la domini a sua immagine e somiglianza, ma di qualcuno che ne sappia gestire, coordinare e curare, riconoscere con amore, le mille anime, le mille sfaccettature, per farla rifiorire nel caleidoscopio che le è proprio.
Per questo, ti chiedo di accantonare il tuo rispettabile sconforto politico e di andare a votare. E di farlo con il fermo obiettivo di rendere possibile il cambiamento. Perché di cambiamento vero si tratta: “quelli di prima”, tanto utilizzati come mantra argomentativo dalle legioni del doge, ironia del destino, sono già da mesi saltati sul carro di chi li criticava, con nostro sommo sospiro di sollievo.
E se poi, al massimo grado di fiducia, vorrai votare Sinistra Italiana, allora vorrà dire che lo sconforto non sarà più così determinante e che il futuro avrà già cambiato direzione: la nostra!
CAROLINA MANFRINETTI,
candidata in consiglio comunale per Sinistra Italiana
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